Modus Operandi

Con il termine di modus operandi si intende quell’insieme di tracce, modalità di esecuzione del crimine, comportamento attuato prima e dopo l’uccisione che l’assassino o il serial killer (se ha agito su più di due persone) attua al fine di realizzare il suo intento omicidiario.

Edmund Locart, fondatore del laboratorio di medicina legale a Lione e padre delle scienze forensi della polizia francese, era solito definire il modus operandi come la circostanza che si realizza quando: “Chiunque entri nella scena del crimine e prende con sé qualcosa o lasci qualcosa di se stesso”.

Con tale principio egli voleva individuare il fattore delle tracce sulla base del principio dell’interscambio, per cui che entra in contatto con una scena del crimine inevitabilmente lascia delle tracce, delle ombre delle piccole parti di sé, oppure intenzionalmente asporta delle parti del corpo o dei souvenir dell’ambiente intorno, oppure ancora inconsapevolmente lascia delle tracce di DNA ad esso riconducibili.

Tale teoria, definita delle “prove fisiche” perché si riferiva a delle parti che si potevano identificare fisicamente, come impronte, tracce di DNA, capelli, sangue, fibre di tessuto o materiali usati, ha il solo limite di valutare le acquisizioni materiali, ma non fa alcun riferimento alle valutazioni psicologiche e comportamentali, chiamato profiling o profilo, che è parimenti importante per identificare un individuo ritenuto sospetto.

Si fa riferimento ad “impronte metodologiche e psicologiche” quando si parla di quelle tracce psicologiche e comportamentali che ineriscono al soggetto ed al suo comportamento.

Esse solo tali da definire e dettagliare un determinato tipo di personalità che si comporta in un determinato modo e fa delle scelte particolari ed uniche, tanto da poter essere identificato.

L’individuazione di tracce materiali e di tracce psicologiche permette di fare un profilo completo del soggetto agente.

Tra le impronte psicologiche si trovano il modus operandi e la firma, cioè quella particolarità lasciata sulla scena del crimine e che identifica un solo soggetto, tanto da diventare il suo marchio identificativo.

Secondo il criminologo Carmelo Lavorino (2000), il comportamento omicidiario (modus operandi) di un omicida o di un serial killer può essere definito come: “Matrice Organizzativa Cronologica dell’Omicidio”, essa consiste in un processo organizzativo che si può suddividere in 8 fasi:

  1. fase decisionale, in cui l’omicida immagina e desidera uccidere, immaginandosi anche le sensazioni che proverà dopo e le conseguenze del misfatto, prendendo così la decisione che sia ottimale per lui passare ai fatti e uccidere,
  2. fase organizzativa progettuale, ovvero l’omicida organizza tutte le dinamiche, i luoghi e gli atti per raggiungere il suo scopo,
  3. fase di predisposizione della vittima, questa è la fase in cui viene scelta la vittima ideale per le sue caratteristiche o per il ruolo che ricopre nella società,
  4. fase di preparazione della scena del crimine, in cui il luogo della realizzazione del crimine viene scelto e ben predisposto per l’atto omicidiario
  5. fase esecutiva attuativa, la fase in cui viene catturata e uccisa la vittima prescelta
  6. fase di over killing e after killing, si tratta di una serie di comportamenti messi in atto con modalità aggressiva ed esagerata rispetto alla quantità di forza necessaria per uccidere la vittima e messi in atto dopo la morte della vittima stessa, come per esempio la tortura e la deturpazione del cadavere,
  7. fase di alterazione della scena e autocopertura, durante la quale l’assassino altera la scena del crimine per eliminare le sue tracce e non essere individuato
  8. fase di distanziamento dall’omicidio, in tale fase l’omicida si distacca dal fatto compiuto e ritorna a fare quello che faceva ordinariamente prima ed alla sua solita vita cercando di non destare sospetti.

Quella che viene genericamente chiamata Firma consiste in un comportamento ragionato ed architettato dall’omicida per prendere la paternità dell’azione compiuta.

Si tratta di un rituale che l’omicida deve attuare sul corpo o nell’area circostante la vittima per poter completare l’opera compiuta, senza di esso sarebbe un omicidio “normale”.

Tale comportamento rituale viene chiamato “offender” ed è ripetitivo in tutti gli atti di omicidio o tentativi di esso, ed è la parte attuativa delle fantasie morbose dell’omicida.

I criminologi Mastronardi e De Luca la definiscono: “una specie di biglietto da visita del soggetto che agisce”.

Il modus operandi dinamico è invece quella parte di organizzazione degli omicidi che si evolve e muta col tempo, con la maggiore rabbia espressa e con le modalità più ripetitive della dinamica appunto del crimine.

Le modalità si evolvono per fretta, per brama di maggior omicidi, per gli effetti subiti dopo i primi atti, per la maggiore crudeltà inferta.

L’assassinio è un’espressione del disagio, e nel momento in cui viene soddisfatto per la prima volta scatena delle emozioni che l’omicida non aveva mai provato in realtà e che non riesce a controllare, anche se solo ipotizzate, e quindi tende a modificare l’azione cruenta inferta.

I delitti successivi verranno a modificarsi in determinati dettagli che denotano una trasformazione del pensiero di chi li compie ed un profilo che va sempre più definendosi.